Di Alessandro Guardassoni (1819-1888)
dipinto attorno al 1855 e lasciato dall’autore in testamento alla chiesa, purché venisse collocato in questo luogo. Fu questo, forse, l’estremo omaggio alla comunità parrocchiale che gli aveva assegnato alcune commissioni prestigiose, del celebre pittore bolognese, ammirato fin dalle sue prime prove accademiche, ma costantemente in preda ad inquietudini ed a contraddizioni. Da un lato, la ricerca di nuove tecniche e l’attenzione a quanto si sviluppava a Roma, a Firenze, a Parigi ed a Londra, dove si recò personalmente e da dove trasse motivi per raffinatissime rimeditazioni, e dall’altro la vasta produzione chiesastica che lo portava, a volte, a facili accademismi ed a frettolose semplificazioni, lo resero purtroppo assai discontinuo. Cosciente forse
di ciò, in questo luogo nel quale aveva lasciato tante tracce della propria arte, in qualche caso di qualità non eccelsa, il Guardassoni volle che rimanesse esposta per sempre questa grande tela che costituisce certamente una delle sue opere più meditate e mirabili, per sapienza compositiva, per drammaticità nella distribuzione della luce, e per le felici scelte cromatiche: una di quelle opere che spinsero il grande critico Roberto Longhi a considerare il nostro pittore ultimo erede della tradizione carraccesca.
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